Capitani del passato:Giacomo Losi

14.02.2013

Giacomo Losi non è stato solo il capitano di tante battaglie o il difensore insuperabile per 15 stagioni. Non è stato nemmeno solo “Core de Roma” o il secondo giocatore – in campionato – più presente della storia giallorossa con 386 apparizioni. Giacomo Losi è stato tanto altro, soprattutto questo: “La Roma è la mia vita, indossavo quella divisa come una seconda pelle. Nascondevo i mali pur di giocare e di poter dare un contributo”. Sabato tornerà all’Olimpico nel pre-partita di Roma-Juventus per essere acclamato dai tifosi della Roma. I suoi tifosi.

Come iniziò tutto?
“Sono cresciuto in mezzo alla strada, bruciando le tappe. A 14 anni mi ritrovai in prima categoria, sui campi di terra. Ci allenavamo una volta a settimana, ma lo facevo con grande voglia. Volevo essere il migliore, sfondare, in ogni cosa ho sempre cercato di dare il massimo”.

E poi?
“A 16 anni, arrivai alla Cremonese, in prima squadra. Venni convocato per la partita di presentazione contro i rivali del Brescia, ma inizialmente mi mandarono in tribuna. Nessun problema, figuriamoci, ero giovanissimo. Qualche ora prima dell’ingresso in campo lo speaker dello stadio fece un annuncio. Mi volevano negli spogliatoi, il mister mi aveva fatto chiamare. Mi precipitai, il tecnico Bodini (peraltro, parente del Bodini di Testaccio) appena mi vide, disse: “Losi, te la senti di giocare terzino?”. Il terzino titolare s’era infortunato, io inizialmente mi spaventai, poi accettai di buon grado”.

Andò bene?
Bene è poco: alla grande. Disputai una partita super. La gente non ci credeva, vedeva questo ragazzino andare prepotentemente su tutti i palloni. Da lì iniziò la mia scalata”.

Quindi il suo approdo a Roma qualche anno dopo.
“Avevo 19 anni, era la stagione ’54-’55. Successe tutto molto velocemente, senza rendermi conto che stavo andando alla Roma”.

Non sapeva nulla?
“Nulla. Mi chiamò un dirigente della Cremonese e mi disse: “Giacomo, ti abbiamo venduto ad una società di Serie A. Dobbiamo partire per andare a firmare”. Non mi disse il nome della squadra e io non lo chiesi. Ero sicuro di andare in un club del nord: Inter o Bologna, dove in passato sostenni alcuni provini. Durante il viaggio, ad un certo punto, ci fermammo proprio a Bologna. Ma fu una sosta breve. Tanto che domandai: “Ma non andiamo in sede?”. “Quale sede?”, mi risposero. “Ti abbiamo venduto alla Roma”. Tutto immaginavo, tranne che Roma”.

I primi mesi furono difficili?
“Be’, sicuramente. Non tanto in campo, dove mi sentivo sempre a mio agio, quanto fuori. Vivevo in una pensione in Via Quintino Sella, nei pressi della stazione Termini, “ideale per gli scapoli”, come mi aveva consigliato il dirigente che mi portò in giallorosso, Giorgio Carpi. Pure con i soldi non fu facilissimo all’inizio: guadagnavo 105mila lire al mese. Nel mio paese, Soncino, ci avrei campato di rendita, a Roma era più complicato”.

Pensò mai di andare via?
“Mai. Tutte quelle difficoltà le superai rapidamente con il passare del tempo. Mi innamorai della città, della squadra e di una donna che poi avrei sposato. Diventai capitano, la maglia della Roma era per me ormai come una seconda pelle. Nascondevo i mali pur di giocare e di dare un contributo”.

Arrivò anche il soprannome “Core de Roma”.
“Già. L’appellativo non nacque dopo il Roma-Sampdoria in cui segnai da infortunato, ma qualche giorno prima di quella partita durante una trasmissione televisiva, “L’oggetto misterioso”, con Walter Chiari. Ricordo che la scenografia prevedeva un muro su cui scorrevano le immagini di Rita Pavone che cantava “La partita di pallone” e una scritta: “W la Roma, W Losi Core de Roma”. E Walter, mi introdusse proprio così: “Ecco a voi Giacomo Losi, er Core de Roma””.

Sabato tornerà all’Olimpico prima di Roma-Juventus. Sensazioni?
“Rivedere quella gente sulle tribune dal campo sarà un’emozione grandissima. Speriamo di assistere a una bella partita e di poter celebrare un buon risultato. A questo proposito, vorrei citare un precedente: nel campionato ’57-’58 affrontammo la Sampdoria a Genova e perdemmo 3-1. Io non la giocai perché capitò nel periodo del servizio militare. Quella stessa settimana mi arrivò un fonogramma del Ministero della Difesa, che mi informò di tornare a Roma per completare la leva. Così tornai a disposizione del mister per la partita successiva a quella con la Samp. L’avversario sarebbe stato proprio la Juventus”.

Sconfitta con la Sampdoria 3-1 e poi la Juventus avversaria della settimana successiva. Sembra un dèjà-vu. E quale fu il risultato finale della sfida con i bianconeri?
“4-1 per la Roma. Che sia di buon auspicio…”.